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Il ruolo del cliente: viaggio dall’Italia a Cuba e ritorno.

Anche quest’anno sono riuscita letteralmente a spiccare il volo nel mese di gennaio e sono atterrata a Cuba. Come ho raccontato nella pagina Chi sono, amo viaggiare, scoprire mondi e culture diverse, modelli di business nuovi o alternativi al nostro. Ho girato parecchio il mondo, ma mai come questa volta mi sono trovata catapultata in un universo parallelo.

Come sono partita

Il volo per Cuba è lungo (devo dire che più passano gli anni, più questa parte dei viaggi mi diventa pesante da sopportare) quindi nella mia impostazione stakanovista “non perdiamo tempo, il tempo è denaro” ho pensato che il modo migliore di impiegare le ore di volo fosse quello di riuscire finalmente a terminare un libro che avevo iniziato, una vera pietra miliare per il mio lavoro Marketing 4.0 di Philip Kotler.

Tra le tante tematiche che affronta, mi è rimasto davvero impresso il Modello delle 5 A, come evoluzione nel mondo attuale del “caro vecchio” modello delle 4 P del Marketing Mix (prodotto, prezzo, pubblicità e punto vendita).

Il Kotler evidenzia come oggi, in piena era digitale, il percorso che il consumatore compie diventi sociale e non più individuale.

Oggi la fedeltà si identifica con la disponibilità del cliente a consigliare un brand ad altre persone: il viaggio non è più singolo, ma diventa di gruppo e si concreta nelle 5 A: aware (scoperta), appeal (attrattiva), ask (ricerca), act (azione) advocate (passaparola).

Ma su questo tema tornerò presto con un post specifico.

L’arrivo a Cuba

Scendo quindi dall’aereo con tutti questi bei ragionamenti in testa ed inizio il mio viaggio di tre settimane a Cuba insieme al mio compagno: tra l’altro, per fare un viaggio più “duro e puro” come siamo abituati a fare, siamo atterrati nella parte orientale dell’isola, quella più arretrata, con l’idea di percorrerla quasi tutta e ripartire poi da La Habana, che si trova a nord-ovest di Cuba.

Certo, sapevo che Cuba si definisce “uno stato socialista di lavoratori”: ho viaggiato in paesi ex-comunisti in passato, ma appunto “EX”: mi sono resa conto fin da subito che non ero pronta ad affrontare quello che ho visto e non intendo parlare di politica, ma di economia.

Non dimentichiamo, inoltre, che Cuba è tuttora sottoposta ad embargo da parte degli USA e che quindi, a parte la Russia per i carburanti, la Spagna, il Cile, i paesi dell’ex blocco sovietico e in piccola parte anche l’Italia (ho visto la pasta Barilla!) per quanto riguarda i prodotti alimentari, non arriva nulla e loro non producono praticamente più niente.

La Habana, che è ormai una consolidata meta turistica, offre qualche piccola attività commerciale e diversi ristoranti, ma nelle cittadine di provincia mi ha enormemente colpita la quasi totale assenza di attività commerciali, almeno nel senso in cui siamo abituati a considerarle noi capitalisti (sì, ci chiamano proprio così!).

Che cosa ho visto

Ci sono dei piccoli supermercati che offrono al massimo 5 o 6 tipologie di prodotto: ogni prodotto è presente in molteplici esemplari ed è esposto in scaffali che diventano un’unica macchia di colore: un succo di frutta, uno shampoo, un sapone… in nessuno di questi punti vendita è possibile anche solo lontanamente fare una spesa completa per soddisfare le esigenze di una famiglia. Ma attenzione: di fronte ad ogni attività commerciale c’è un guardiano, che permette alla gente di entrare uno per volta e di poter acquistare soltanto un certo numero di pezzi, creando code chilometriche all’esterno.

Abbiamo tentato di fare un giro in un mercato, abituati a girare nei mercati asiatici, lo spettacolo che ci si è presentato a Camaguey mi ha davvero scioccata: a fronte di quasi un centinaio di tiendas piazzate nell’area mercatale, soltanto una decina di queste erano aperte e gli unici prodotti a disposizione erano trecce di cipolle e aglio, nient’altro!

Un’altra bizzarria è ad esempio la famosa catena statale di Gelaterie Coppelia, presente nelle principali città, che venne inaugurata nel 1966 su volontà di Fidel Castro, appassionato di gelato (tutti i cubani lo sono), e che fino a pochi anni fa aveva il monopolio assoluto in tutta Cuba: anche qui, code chilometriche per entrare, guardiani alla porta che, con una sottile crudeltà, fanno entrare le persone con il contagocce, nonostante i molti tavoli liberi, che vengono puliti con moltissima calma.

E il cliente dove lo mettiamo?

Ecco questo è ciò che mi ha mandato in tilt: nel cosiddetto mondo occidentale oggi tutti i brand inventano costantemente strategie nuove e complesse per cercare compratori per la propria offerta: un enorme flusso di prodotti e servizi che ha mille difficoltà ad essere venduto (e mi tornava sempre in mente il Modello delle 5 A).

A Cuba è esattamente l’opposto: le persone, nonostante guadagnino mediamente pochissimo, anche volendo, non possono accedere ai prodotti: di fronte a molte attività commerciali, anziché trovare il menù o l’offerta dei prodotti, ci sono cartelli con le” regole per il cliente”.

Il cliente– oggi idolatrato nella nostra civiltà – è invece l’ultimo ad avere diritti, anzi ha soltanto doveri, altrimenti viene tagliato fuori! Alla faccia delle barriere all’entrata… nessuno ha interesse a fare funzionare le attività in cui lavora: non c’è amore per il lavoro, se sei un dipendente pubblico (e lo sono ancora quasi tutti), cerchi di fare il meno possibile, di far passare meno clienti possibile, così non ti stanchi, tanto cosa cambia?

Con chi ho parlato

Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con tantissime persone di diversa estrazione in varie circostanze: chi ci ospitava nelle “case particular”, autisti, camerieri, persone comuni con cui si divide una panchina all’ombra, alla ricerca del segnale ETECSA (ovviamente l’accesso ad Internet è super difficoltoso e costosissimo: 1 euro all’ora, soltanto nelle piazze principali delle città).

Parlando con le persone più giovani, abbiamo notato che un cambiamento è in atto: ora riescono parzialmente a vedere il mondo esterno grazie ad Internet e, dato che il vecchio sistema sta inevitabilmente crollando, si intravedono i primi spiragli per un cambiamento di prospettiva culturale.

Cecilia di Cienfuegos

Mi è rimasta molto impressa una lunghissima conversazione con la proprietaria della casa particular dove siamo stati ospiti a Cienfuegos: la Signora Cecilia mi ha raccontato le difficoltà che incontra per essere presente su Booking.com: a loro costa il 15% di commissione, oltre ad un costo di un ulteriore 15% per avere l’intermediazione bancaria con carta di credito, quindi il 30% della cifra da noi pagata se ne va in commissioni. Ma questo per loro è l’unico modo di poter operare nel mondo attuale e di aprirsi verso il mercato esterno. Mi ha colpito molto una frase che mi ha detto: “Noi cubani non abbiamo le parole per potere fare Business. Il vocabolario che ci insegnano a scuola non contiene gli elementi per potere fare business. Dobbiamo inventare tutto da soli e facciamo tantissimi errori”.

Pedro di Camaguey

Pedro, giovane titolare di una casa particular davvero moderna e trendy a Camaguey, usciva alla mattina alle 6.00 per recarsi al mercato o dal macellaio per tentare di accaparrarsi le provviste necessarie ad offrire alla propria famiglia e agli ospiti della casa la colazione e la cena. Ci ha detto:” Oggi solo quello che è privato funziona a Cuba, perché le persone ci investono del proprio e si impegnano. Tutto ciò che è pubblico ormai non funziona più, perché non è di nessuno e la gente se ne frega”. Paradossalmente, in uno stato socialista manca del tutto la coscienza del bene comune.

Susanna di Trinidad

Susanna, incontrata su una panchina a Trinidad e molto stupita che noi turisti parlassimo con lei ed il marito agricoltore (ci ha detto che non accade praticamente mai) ci ha raccontato di essere diplomata in informatica: “Che senso ha avere studiato informatica se poi mi è negato l’accesso ad Internet? Perché ci fanno studiare se poi non possiamo scegliere che cosa fare nella vita? Se una persona cerca di crescere, le è permesso di arrivare solo ad un certo livello, le eccellenze non sono incentivate, anzi si consente soltanto un diffuso livello medio-basso”.

Che cosa ho capito

Quale lezione ne traggo? Ho avuto dei momenti durante questo viaggio in cui mi è capitato di domandarmi se il mio ruolo ed il mio lavoro avessero oggettivamente senso.

Vivendo per un periodo, seppure breve, in questo mondo dove non vigono le regole del mercato, tutto ciò in cui ho sempre creduto, la mia laurea in Economia e tutta la mia vita professionale sono state messe in discussione e sono entrata un po’ in crisi.

Perché penso che da un lato la nostra società sia andata un po’ oltre, che l’eccesso di consumismo sia un difetto, che molte delle attività professionali che svolgiamo siano basate sulla “fuffa” e che tutto questo stimolare bisogni di cose senza senso nelle persone stia creando una società malata.

D’altro canto è evidente che non mi sento compatibile con la filosofia economica e lo stile di vita di Cuba, che ritengo il loro modello anacronistico e soprattutto credo che le persone debbano poter scegliere autonomamente cosa fare della propria esistenza: la libertà di auto-determinazione è un diritto fondamentale che dovrebbe essere garantito a tutti gli esseri umani.

In medio stat virtus.

Author:

MARTA GIAVARINI - STRATEGIE DI BUSINESS. Supporto aspiranti Imprenditori, Freelance e Startupper a mettere a fuoco il loro Business Model, a conoscere e analizzare il mercato in cui lavorano, per pianificare strategie vincenti attraverso un Business Plan. Aiuto imprese già avviate a rivedere il proprio Modello di Business per sviluppare nuovi prodotti e nuovi mercati.

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